Aula-mondo. Pratiche per decolonizzare la formazione universitaria dei professionisti del lavoro educativo e di cura
DOI:
https://doi.org/10.6092/issn.2420-8175/16573Parole chiave:
autoetnografia, teorie femministe decoloniali, saperi situati, formazione universitaria, pedagogia decolonialeAbstract
Questo contributo propone una riflessione sull’impatto di teorie e pratiche decoloniali nei corsi di pedagogia sociale per futuri professionisti del lavoro educativo e di cura (educatori, assistenti sociali, esperti nella riabilitazione e medici). In questi ambiti una cornice concettuale decoloniale interroga le dicotomie che informano le relazioni asimmetriche professionista-utente/paziente, segnate da diseguaglianze sociali e dilemmi etici. In che modo teorie e pratiche decoloniali aiutano a riconfigurare gli immaginari e ripensare le professionalità? In dialogo con la letteratura chicana e caraibica (Anzaldua e Moraga, 2002; Glissant 1990, 1998, 2009), con le teorie femministe delle women of color (Mohanty Talpade, 2003; hooks, 2020, 2023), l’articolo esplora l’idea di differenza in chiave decoloniale mettendola in relazione alle questioni della parzialità del sapere e delle oppressioni. A partire da una ricerca autoetnografica svolta durante i corsi che tengo dal 2015 e dai diari degli/delle studenti che li hanno frequentati, l’articolo esplora metodologie e processi che favoriscono il divenire consapevoli del processo di co-costruzione di saperi situati e incarnati durante la propria formazione accademica. Su ispirazione della visione del Tutto-mondo di Glissant (1990), forma paradigmatica di ogni creolizzazione, parleremo quindi di aula-mondo, un luogo di incontro che cerca di allontanare il fantasma dell’universale e del globalizzato, in favore di una relazione con la mondialità.
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